martedì 23 aprile 2024

Inversioni.




 Giorno 1, giovedì 1 giugno.

Tutto è cominciato una mattina.
Mi sveglio, scendo dal letto, mi infilo le ciabatte e provo qualcosa di strano, cioè che i piedi le calzano male, come se...
Li sfilo, e vedo che ho il piede destro a sinistra e viceversa. Cioè proprio montati sulla gamba sbagliata! 
Mi prende un colpo; immediatamente le mie pulsazioni salgono a livello colibrì, comincio a sudare, e temo un infarto. Mi sembra quasi di svenire. Ho anche una forte nausea. 
Penso: dai, stai sognando. 
Col cazzo, mi mollo un ceffone e niente di quello che provo è un'illusione. 
Cosa faccio? Chiamo il 118? 
Provo a camminare scalzo. Orca troia, ormai cado. Allora mi appoggio all'armadio di fianco al letto e procedo lentamente. 
Due piedi montati a rovescio ti consentono sì di camminare, ma capisco che bisogna imparare un nuovo equilibrio, una nuova distribuzione dei pesi. Mi sento un bambino che ha appena abbandonato la gattonata a quattro zampe e sta sperimentando la parte erectus del sapiens. 
Decido di non uscire e di pensare come comportarmi. 
Il ritmo cardiaco si è abbassato e forse riesco a essere un po' meno agitato. 
Ciabatto, male, per casa; vado in cucina e mi preparo un caffè. 
Preso da un momento di lucidità mi siedo sulla poltrona e mi ispeziono le caviglie, in cerca di cicatrici di eventuali assurde operazioni chirurgiche. 
Un pensiero mi attraversa: sono stato rapito dagli alieni, studiato, smontato e rimontato, ma con una piccola imprecisione. Sapessi chi è stato mi farei sentire con un bel reclamo. Abbandono la pista extraterrestre. 
Quindi?
Quindi boh. Googolo in cerca di storie analoghe, ma niente, anzi, mi pare che l'interfaccia del sito mi stia anche un po' prendendo per il culo. Come darle torto. Però io sono qui con i piedi invertiti, ma non come i calciatori fuori ruolo, ma proprio come un cristiano col sinistro nel destro e il destro nel sinistro.


Giorno 2, domenica 4 giugno.

Ho passato tutto ieri in casa; mi sono allenato a camminare e ormai ho quasi imparato a non appoggiarmi e a non perdere l'equilibrio. Ma la cosa non è finita.
Stamattina è toccato alle mani. Cristosanto! Adesso ho i due pollici esterni, ed è mostruoso.
Mi ero reso conto che i piedi si potevano camuffare. Anche perché se cammini per strada nessuno, feticisti a parte, sta a guardare se li hai al loro posto. 
Ma le mani? MA LE MANI???
Mi riprende il panico. Che cazzo sta succedendo? 
All'improvviso mi chiedo: ma starà succedendo solo a me? Vado alla finestra per vedere se c'è qualcuno in strada, ma abitando in un vicolo chiuso, niente. 
Potrei suonare con una scusa al mio vicino, tenendo le mani in tasca; provo. Niente, non c'è nessuno. Ma è una domenica di giugno e mi rendo conto che sono l'unico a casa nella palazzina.
Se per i piedi ci ho messo poco più di un giorno, con le mani invertite ci sarà da ridere, si fa per dire. 
Infatti mi cade la bottiglia dell'acqua, ma è di plastica e rimbalza; mi cade il bicchiere ma anche quello è di plastica; la prima vittima è la tazzina del caffè. Addio.
Decido di non uscire di casa. 
Penso al casino di imparare a tenere qualsiasi cosa in mano: forchetta e coltello, una penna (e scriverò sempre con la destra o con la “nuova” destra?), allacciarmi le scarpe... ricomincio a sudare.


Giorno 3, venerdì 9 giugno.

Mi sveglio, vado in bagno, faccio pipì e decido di alzare la tapparella. C'è il sole. Prendo il cellulare (in questi giorni ho raggiunto una decente coordinazione e riesco persino a scrivere i messaggi), inforco gli occhiali. Che cazzo succede! Non vedo una minchia! Li tolgo e rivedo come al solito, cioè da miope e astigmatico. Li rimetto e ormai rimetto io. Ma che cosa... 
Mi assale un dubbio. Anche gli occhi? 
Si, porca puttana, anche gli occhi. L'incubo sta assumendo proporzioni difficilmente sopportabili. 
Sono otto giorni che non metto il naso fuori di casa; ormai il frigo comincia a languire; ho ancora un po' di roba congelata, ma prima o poi...
Sono distrutto. Tutti questi avvenimenti mi hanno tolto le forze. Mi scappa da ridere pensando: ok i piedi, le mani, gli occhi, invertiti li vedo, ma... i polmoni, i reni, gli emisferi del cervello? Saranno “girati” anche loro. Sicuramente i coglioni sono girati. 
Quando mi deciderò a uscire, la prima cosa da fare sarà andare dall'ottico, uno diverso dal mio solito, e farmi un paio di occhiali nuovi, adatti all'ultimo... aggiornamento hardware.


Giorno 4, domenica 11 giugno.

Oggi in teoria ci sono le elezioni. La tessera elettorale mi guarda con aria di sfida: Beh, cosa fai, non vai? Ah, bravo. Bell'esempio di dovere civico. Poi non lamentarti se...
Tranquilla, ho altro di cui lamentarmi ora, cara tessera rompicazzo.
Ma lei è lì, e continua a fissarmi. 
E io penso.
È da quando ho compiuto diciotto anni che non mi perdo una votazione, ma a 'sto giro mi sa che marino. Mi viene un groppo in gola al pensiero, un po' come la prima volta che fai buco a scuola. Maledetta coscienza.
Ok, ho fino a stasera alle dieci per pensarci. 
Anche se cerco di non pensarci.
Ma alla fine ci penso.
Decido di andarci a dieci minuti dalla chiusura dei seggi. Vorrebbe dire uscire per la prima volta dopo che è cominciato il... la... non so neanche come chiamarlo... chiamarla...
Si fa l'ora. 
Non vorrei farmi riconoscere da nessuno, scrutatori a parte per ovvii motivi legali, e mi metto un bel paio di occhiali da sole (a lenti neutre, altrimenti sembrerei un ubriaco), nonostante l'ora. Farò la figura dell'eccentrico. O molto più facilmente di un coglione che vuol fare il figo.
Arrivo al seggio, ci sono solo due pulotti e due caramba che stanno parlando di calcio. A giugno! Ma figa, no? 
Cerco la mia sezione, consegno i documenti, mi danno la scheda, entro in... gabina (in Romagna è così) e apro il solito lenzuolo con i simboli da votare.
Già non ci vedo bene, la luce non è il massimo.
Scorro l'elenco e vedo: 
- Vota Meloni - Partito Democratico
- Vota Schlein - Fratelli d'Italia

E non mi sento più solo.

giovedì 1 luglio 2021

Caterina e la destra


 

Aveva sentito la mamma parlare con zia Lucia; parlavano sottovoce, ma Caterina, da sotto il tavolo, aveva capito alcune parole: Battistini, tedeschi, scarpe, gente, finestre, vetri rotti, portone. La mamma aveva poi aperto uno sportello della credenza e aveva tirato fuori una cosa. Caterina dalla sua postazione d’ascolto non riuscì a vedere di cosa si trattasse, ma udì solo la zia dire sinistra. 

Poi era entrato il nonno e le due donne si erano interrotte e la mamma aveva richiuso lo sportello. 

La bambina aveva capito che non volevano farsi sentire da nessuno. 

Un discorso da grandi. Ma anche il nonno era grande quindi, forse, era un discorso da donne. 

Caterina avrebbe voluto partecipare, la sua curiosità di signorina di otto anni le esplodeva dentro, ma non si fece vedere e sgattaiolò nell’altra stanza. A letto, la sera, ripensò a quelle parole rubate nel pomeriggio. Sapeva anche, suo malgrado, che mamma e zia parlavano dei soldati tedeschi e della loro cattiveria. Si immerse ancora di più sotto le coperte, e si addormentò. 

La mattina seguente, mentre erano tutti fuori tranne il nonno, che russava rumorosamente nella sua stanza, la piccola investigatrice riccioluta arrivò allo sportello del mobile, e lo aprì.

Nascosta sotto alcuni stracci c’era una scarpa sinistra, marrone, impolverata, ma nuova. Se la rigirò nelle mani stando attenta che nessuno entrasse e la sorprendesse nell’esplorazione di quell’oggetto. Ebbe qualche minuto per studiarla, per fissarne la forma nella sua memoria. Riconobbe un tre e un otto sotto la suola. Si ricordò che sua madre, un giorno di un paio di anni prima, al mercato, mentre si provava delle scarpe, le guardava sempre sotto e leggeva ad alta voce dei numeri. Successivamente la donna spiegò alla figlia che si trattava della misura. Quindi la mamma portava un tre otto. Anche quell’informazione finì vicino a quelle di forma e colore. Rimise via la scarpa, chiuse lo sportello e andò a vestirsi.

Per un paio di giorni quella storia finì nel dimenticatoio, poi un pomeriggio, mentre camminava di fretta col nonno, vide gente che usciva da un cancello correndo inseguita da soldati con fucili e pistole. 

Chiese al nonno cosa stesse succedendo e lui le spiegò che era povera gente che andava in cerca di scarpe nella fabbrica dei Battistini, dopo che quei vigliacchi dei tedeschi avevano buttato giù il portone e tutte le finestre e si erano portati via un sacco di roba. Una volta a casa, davanti al camino, ipnotizzata dalle fiamme guizzanti tra la legna, mise insieme quasi inconsciamente tutti i pezzi della storia: la mamma era entrata in possesso di una scarpa sinistra che probabilmente veniva da quel capannone e con la zia, con la quale parlava sempre fitto e sottovoce, avrebbe cercato di trovare la destra. Ma col nonno aveva visto quei soldati e aveva capito che sarebbe stato difficile, per le due donne, entrare e cercare senza farsi scoprire. Decise in quel preciso momento che avrebbe trovato l’altra scarpa per la sua mamma. 

La mattina seguente era domenica. La maggior parte delle persone del suo quartiere erano a messa. Arrivò facilmente davanti a quel grande edificio con tutti vetri delle finestre rotti. Fece un giro lì attorno e non vide soldati. Riuscì ad entrare. 

Dentro sarebbe stato buio ma, fortunatamente, entrava parecchia luce. Si meravigliò di non avere paura di quell’ambiente sconosciuto, forse la sua missione le dava una buona dose di coraggio e il pensiero della faccia che avrebbe fatto la mamma, la spronò ancora di più. 

Non si rese conto di quanto tempo fosse passato, aveva fatto un sacco di giri tra le scatole ammassate, aveva guardato sotto pile di scarpe da donna gettate alla rinfusa sul pavimento. Poi la vide. 

Faceva capolino da dietro uno scaffale, in mezzo ad altri modelli. Riuscì ad afferrarla e la guardò attentamente. La confrontò col modello che aveva in testa e stabilì che, sì, era proprio lei, la destra. 

Era così eccitata dal suo piccolo grande tesoro che quasi si dimenticò di guardare i numeri sotto la suola. Quando questo pensiero le si affacciò, rimase col fiato sospeso. La sua parte emotiva e il pensiero della mamma le avevano fatto dimenticare il particolare dei numeri. Chiuse gli occhi, prese un gran respiro, e girò lentissimamente la scarpa. 

Poi pregando di essere ancora più fortunata li aprì piano piano e vide quei due segni stampati nel cuoio. Tre e otto, sarebbero stati, per lei, i numeri più belli del mondo. 

Per sempre.

martedì 28 gennaio 2020

Ogni maledetta domenica.



Domenica 26 gennaio, sono davanti alla televisione, al bar, come si faceva una volta, quando non ci si poteva permettere una tv o un abbonamento, in attesa del posticipo, assieme ai soliti amici. Per far passare quei minuti che mancano al fischio d'inizio, apro Twitter e la prima cosa che leggo è che Kobe Bryant è morto in un incidente insieme alla figlia Gianna e altre 7 persone. È un pugno nello stomaco. È come uno schiaffo al buio, ti sorprende, non te lo aspetti, e ti fa male. Non mi capacito. Mi sembra sia morto uno di famiglia. Altre volte, per morti “eccellenti”, non ho provato tutta questa sensazione di smarrimento, non ero pronto a perdere Black Mamba, nessuno lo era. Poi, una volta tornato a casa, mi metto davanti alla televisione, ovviamente ne parlano tutti, e io sono ancora stordito, incredulo, spiazzato, senza riparo.
Non so perché ma questa tragedia mi ha fatto pensare al destino di tanti sportivi che hanno concluso la loro vita di domenica. Per alcuni è stato proprio a causa della loro attività, per altri, come per Kobe, il caso, bastardo. 
E allora non sono riuscito a non immaginare che proprio la domenica, come ci hanno insegnato al catechismo, Dio, dopo aver creato il mondo, si riposò. Siccome io non sono credente, mi sono stupito di aver fatto questo ragionamento, ma ancora di più, di essere andato oltre, di aver immaginato Dio che dalla creazione in poi, alla domenica, sonnecchi, si rigiri nel suo letto, immagino divino, per rifarsi delle fatiche settimanali e si distragga dalle miserie umane proprio quel settimo giorno, e ci lasci sguarniti di quelli che un tempo chiamavano beniamini ma che in realtà erano i nostri eroi; chiuda gli occhi e permetta che un destino crudele ci porti via Renato Curi, Renzo Pasolini, Otello Buscherini, Emiliano Sala, Gigi Meroni, Daijiro Kato, Marco Simoncelli, Giuliano Taccola, Lorenzo Bandini, Davide Astori, Ayrton Senna e Kobe Bryant. Questi sono quelli di cui ho memoria, quelli che mi ricordano quelle giornate senza custode, senza qualcuno che guardi loro le spalle e che consenta che le loro vite si perdano per un sonnellino, ogni maledetta domenica.

giovedì 3 ottobre 2019

La settimana del buon Chevin.


Dopo una settimana di vacanza la scuola riapre. In quarta C, la maestra Federici, chiede agli alunni:
- Bambini, sicuramente avrete passato tutti una bellissima settimana. Se c’è qualcuno che voglia raccontarla a tutta la classe, alzi la mano. Ehi, Chevin, che velocità. Dev’essere stata una settimana proprio bella per te! Dai, alzati in piedi che ti ascoltiamo.
- Allora... io questa settimana mi sono divertito moltissimo. Lunedì notte il mio babbo mi ha portato a lavorare con lui. Il mio babbo è un ladro. Siamo entrati in un negozio, che poi prima abbiamo scassinato la serranda e poi anche la porta, ma piano, eh, per non farci sentire. Abbiamo portato via tutto quello che c’era in cassa, che quel coglione aveva lasciato lì tutto, e mio babbo lo sapeva che questo è uno poco sveglio. Siamo tornati a casa che erano quasi le cinque e la mia mamma mi ha fatto la cioccolata calda, e il mio babbo era tutto allegro.
Martedì sera sono andato via con la mia mamma, che fa la puttana, e la fa  alla zona industriale, che io pensavo che di notte non ci fosse nessuno e invece sono tantissime! M’hanno fatto tutte una gran festa, anzi che la Tatiana ha detto “Quando lo svezziamo questo giovanotto?” e tutte hanno riso, e anche io ho riso. La mia mamma per tre quattro volte è andata via con dei signori in macchina, però c’era sempre qualcuna a farmi compagnia. Siamo tornati che erano quasi le sei, e abbiamo portato a casa i bomboloni caldi.
Mercoledì, dopo la partita, io e mio fratello siamo andati giù al parco, dove lui spaccia. È uno sveglio mio fratello, vede lontano un chilometro se c’è qualcuno di poco affidabile, ed è molto famoso perché ha sempre della roba molto buona, perché lui la riconosce quando è tagliata male, e mi dice “A me non mi fregano con della porcheria, non me lo faccio mica mettere in quel posto!”  Siamo dovuti scappare anche una volta che c’era una macchina della polizia che ficcava il naso, “‘sti stronzi”, come dice mio fratello. Siamo tornati che era l’alba, con un sacco di soldi, e mamma e babbo ci hanno fatto una gran festa, e mi hanno fatto assaggiare un po’ di caffè nella mia tazzona di latte.
Giovedì sera, la mamma aveva il turno in ospedale, e quando fa il turno al suo posto va lo zio, che quando va alla zona industriale, sembra proprio una donna, che se stai attento lo capisci solo un po’ dalla voce che è un maschio.
La cosa che mi è piaciuta di più è che io lo chiamavo zio Ugo e lui si arrabbiava perché lo dovevo chiamare Venere. Mi ha portato a casa alle sette, ma prima mi ha fatto bere il primo cappuccino vero della mia vita.
Venerdì io e Maicol, mio cugino, siamo andati in giro a rovesciare i cassonetti dell’immondizia, e a un paio Maicol ci ha anche dato fuoco. Verso le quattro della mattina abbiamo suonato un sacco di campanelli, e pisciato sopra un gatto che dormiva, poi alle cinque ci siamo trovati col babbo che aveva rubato in una casa, e non aveva potuto portarmi perché dentro c’era la gente che dormiva.
Sabato e domenica sera andati tutti al mare, io il mio babbo e il mio zio a fregare le radio dalle macchine, fuori dalle discoteche, mentre mio fratello era dentro a vendere pastiglie, e mia mamma lavorava sul lungomare.
È stato bello uscire tutti insieme per il fine settimana. Siamo tornati stamattina, giusto in tempo per fare colazione, perché come dice sempre la mia mamma, la colazione è il pasto più importante della giornata. -
Chevin si rimette a sedere, tutti i bambini e la maestra lo guardano senza fiatare. Dopo un buon minuto di silenzio quasi irreale, la signora Federici, con un filo di voce, serissima in volto, gli dice: 
- Chevin, puoi portarmi il quaderno, che devo scrivere una cosa per i tuoi genitori?
“ Gentili signori Foschini, Chevin ci ha raccontato la sua settimana di vacanza. Vi confesso che sono rimasta sconvolta e sono seriamente preoccupata per il bambino. Non vorrei che questo venisse interpretato come un’interferenza nella sua educazione, ma ritengo, come insegnante, di dovervi far notare che a parere mio, Chevin non dorme abbastanza.”

lunedì 20 febbraio 2017

La Cantante di Liscio link per il download.





Se volete scaricare il file pdf per poter leggere il romanzo, cliccate 

qui.

Buona lettura!
Sono graditi commenti.

mercoledì 8 luglio 2015

Rosa antico.





Tra un po' la mia patente rosa di stoffa verrà vaporizzata. Mi daranno la tesserina a "carta di credito", che alla fine dei 5 anni di validità (perché ho passato il cinquantello, anche se io non ci credo), dovrà essere rifatta di sana plastica. È un pezzo di storia che se ne andrà, quel fazzoletto rosa antico con la foto sopra, e tutti i bolli dagli anni '80. La foto: beh risale ai miei diciott'anni, a quegli occhiali enormi "perché sa, così il campo visivo è maggiore, e riparano anche dai moscerini e dalla sabbia", con i capelli cortissimi, probabilmente una predizione della calvizie che poi mi avrebbe arredato il capino. Le rare volte che ho dovuto mostrarla a qualche agente mi sono sempre chiesto come facesse a capire che ero davvero io il titolare del documento, che non era una patente rubata, o con una foto falsa. Vi lascio immaginare le condizioni in cui è un pezzo di stoffa tenuto per trentacinque anni dentro diversi portafogli; loro cambiavano, lei no, lei si accomodava senza tante storie nella sua nuova casa, sapendo che non avrebbe avuto tante occasioni di prendere aria, non fosse stato per me, che per far ridere qualche amico, ogni tanto la esibivo per mostrare la foto tessera, un capolavoro di inchiavabilità. Io sono anche quello che ha avuto scritto sulla carta d'identità, alla voce capelli, la dicitura "calvo". Ora, io calvo non sono, ma quella mattina avevo i capelli superstiti tagliati con la lametta, insomma, a palla da biliardo. L'impiegata dell'anagrafe non ha voluto sentire ragioni, "lei questa mattina mi è venuto calvo e non posso scrivere altro". Ho avuto la pazienza di un santo cercando di spiegarle che per "capelli" intendevano il colore, infatti alla voce "occhi" non c'era scritto "due", ma "castani". Niente da fare. E anche con quella chicca ho fatto divertire un sacco di gente che non credeva che avessi davvero quella dicitura sul documento. E poi la beffa, l'estensione a dieci anni della validità, cavolo, proprio di quella carta! Ecco, anche quando ho abbandonato la vecchia C. I. ho pensato, cavolo adesso se dico che avevo scritto calvo, chi ci crederà più? I documenti cambiano, la nostra identità, no.

giovedì 8 maggio 2014

Il Biomotivatore. (D. Menghi - F. Gaddoni)

Vi basta una telefonata. Il costo è davvero modesto. Potete chiamare da fisso o mobile, 24 ore su 24. Una semplice selezione numerica vi consentirà di accedere alla funzione desiderata.
Questo servizio telefonico è l’occupazione che mi sono inventato e che mi consente di sbarcare il lunario in maniera più che decorosa. Non immaginate quante persone abbiano la necessità di svolgere normali funzioni biologiche, ma non ne siano in grado per cause essenzialmente psicosomatiche. 
Nel caso di un intestino poco vivace, digitando il tasto 1 dopo il messaggio di benvenuto, mentre siete seduti sulla tazza o, nell’ipotesi peggiore, appollaiati sulla turca in precario equilibrio, una voce registrata vi incoraggerà, per tutto il tempo che vi sarà necessario per espletare la funzione, mormorandovi all’orecchio “Dai spingi, spingi forte, pensa a liberarti, pensa a come ti sentirai meglio...”. 
Il tasto 2 è dedicato alla vescica ritrosa, timida. In sottofondo udirete torrenti di montagna e cascate canadesi, mentre la voce dell’operatore pronuncerà un semplice “Pssssss....” prolungato. 
Premendo il tasto 3, dedicato al rapporto sessuale difficoltoso,  si potrà navigare nelle sottosezioni 1 2 3, a seconda del grado di incitamento necessario per lo scopo. La sottosezione 4 prevede anche l’uso di un vocabolario triviale che non ritengo opportuno riportare.
Col tasto 4 si accede al messaggio destinato agli insonni, ai rifiutati da Morfeo. Un sottomenù permetterà di scegliere tra: ninne nanne di tutti i paesi del mondo, i belati di un grande gregge da contare, un discorso qualsiasi di Mario Monti. 

Il servizio sta andando alla grande e sto lavorando per ampliarlo. Dedicherò il tasto 5 a chi non si innamora, il 6 a chi non si disamora, il 7 a chi ha paura di tutto, l’8 a chi non crede a nulla, il 9 a chi crede a tutto. Compreso quello che ho scritto.